Articolo di Annamaria Niccoli

Il film di Kai Wessel, basato sul romanzo di Robert Domez, è la storia vera di un bambino assassinato in un manicomio durante il periodo nazista. La storia racconta gli anni bui della Germania nazista, dal 1933 al 1945. Uno Stato in gran parte governato dalla follia, dall’egoismo, dalla malvagità umana incarnata da pochi uomini, che miliardi di uomini hanno pagato a caro prezzo per la loro ideologia basata sull’ipotesi delirante della pulizia etnica a vantaggio del predominio delle razze arie. Il libro da cui è tratto l’omonimo film “Nebbia in agosto” parla dello sterminio dei bambini compiuto in Germania perché erano solo malati mentali o fisici o semplicemente perché appartenevano a razze non arie; nel caso di studio sul libro si parla dell’etnia degli zingari. Il progetto T4, che non riguardava solo la sterilizzazione dei bambini, ma anche l’esecuzione di esperimenti pseudoscientifici, aveva il nome di AKTION T4. In Germania, fin dall’inizio della dittatura, le persone “inabili” venivano spesso ricoverate negli ospedali psichiatrici. In particolare, venivano ricoverati tutti gli zingari che esistevano sul territorio tedesco; da ricordare che dal 1933 almeno 139, per lo più bambini, furono ricoverati e tutti sottoposti a sterilizzazione forzata; dal 1939 fu richiesto alle levatrici ostetriche, ai medici e alle infermiere di segnalare la nascita di bambini disabili o che lo diventavano a causa di malattie come la poliomielite. Da notare è che durante tutta la durata della dittatura nazista in Germania non esisteva alcun Ministero della Sanità, quindi tutti coloro che erano lavoratori del settore sanitario facevano riferimento direttamente allo Stato centrale in isolamento. “Nebbia in agosto” racconta la storia di Ernst Lossa, un bambino di origini nomadi, quindi un essere che per Hitler era parassita della società, non degno di vivere. I genitori del ragazzo morirono prematuramente: la madre di tubercolosi e il padre in campo di concentramento a Dachau. Lui e le sorelline vennero internati in orfanotrofio. Nei pochi anni che ha visto il bambino venne dichiarato di essere un soggetto predisposto a turbe psicologiche, alla violenza e alla ruberia, secondo la convinzione razzista dei Medici, secondo la teoria per la quale, tutti gli zingari hanno questa devianza mentale, da ciò il ragazzino è uno psicopatico. Purtroppo nel 1940 viene approvata la legge dell’eutanasia di stato, ossia tutti quegli esseri pericolosi per lo stato, disabili virgola e l’altro, verrà stilata una lista dove vengono inseriti i bambini ufficiali condannati a morte. Il giovane Ernst Lossa nemmeno 140 viene trasferito dal riformatorio di Dachau all’ospedale psichiatrico, dove troverà la morte nel 9 agosto 1944, ufficiale per broncopolmonite. Solo a fine conflitto mondiale virgola è caduta della dittatura nazista nel 1945, durante il processo di Norimberga dove vennero processato i maggiori gerarchi nazisti, Si scoprì la straziante e dolorosa vita morte di quei bambini negli ospedali psichiatrici. Si scoprirà dal carteggio, e della testimonianza di diversi infermieri che lo stato nazista aveva creato l’operazione AKTION T4. Questo progetto Fece ucciderà immediatamente duecentomila persone, quasi tutti i bambini appena entrati nei manicomi. Dopo un’attenta ricerca e analisi dello scrittore Robert Domes, ci si chiede perché il bambino venne condannato a morte, quando venne dichiarato colpevole.
Inizialmente, si credeva che il ragazzo avesse pianificato la sua fuga dall’istituto con i suoi compagni; molto probabilmente, ne era stato testimone oculare. Visse più a lungo nel manicomio, quindi sicuramente doveva essere rimosso dall’esistenza. Colui che ordinò la sua esecuzione fu il direttore del manicomio di Kaufbeuren, Michael von Cranach. La verità viene aborrita solo nel 1946, grazie alla testimonianza di una delle infermiere di quel manicomio:
Lossa sapeva che la morte innaturale lo attendeva. Deve aver visto i suoi pazienti a cui venivano somministrate pastiglie o iniezioni speciali. Sapeva che anche lui era stato contrassegnato per lo smaltimento. Doveva morire presto. Mi aveva dato la foto con dedica nel pomeriggio del giorno prima della sua morte. In essa c’era scritto “in memoria”. Mi ricordai delle chiese perché
e risposi: “finché non vivrò a lungo. Voglio morire durante il tuo turno, così da poter entrare bene nella bara”.
Ma non ero di turno. Quando arrivai la mattina, Lossa non era in camera sua. Giaceva per terra nella stanza dei bambini. Aveva la faccia bluastra, la schiuma in bocca e la pelle sul corpo e sulla bocca come borotalco, la pelle tutta squamosa. Ho provato a parlargli, ma niente. È morto nel pomeriggio. Gli avevano diagnosticato una broncopolmonite.
“Ausmerzen. E vite indegne di essere vissute”, di Marco Paolini dalla pagina del museo del giocattolo di Napoli. Sia l’autore Robert Domez, sia l’attore e regista teatrale Marco Paolini, che hanno portato la storia del piccolo Ernst Lossa sia al cinema che a teatro, hanno impiegato più di due anni di ricerca.

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