
Articolo di Annamaria Niccoli
Art. del 18 aprile 2024
Lea Garofalo è nata il 24 aprile 1974 a Petilia Policastro, un comune in provincia di Crotone. Nei suoi primi nove mesi di vita, suo padre fu assassinato e suo fratello Floriano, insieme allo zio, fecero enormi sacrifici in cerca di vendetta. Il ciclo di vendetta raggiunse l’apice con l’uccisione dei fratelli Mirabelli.
Lea cresce in una famiglia numerosa, pesantemente coinvolta nella ‘ndrangheta, e la nonna le insegna che “il sangue si lava con il sangue”. Suo fratello le insegna a togliere l’arma sotto il cuscino quando ha circa nove anni, perché presto i carabinieri effettueranno una perquisizione.
A tredici anni, Lea sviluppa un interesse romantico per Carlo Cosco, un bambino di quattro anni più grande. Cogliendo l’occasione al volo, Lea segue Carlo a Milano, dove trova un ambiente teatrale non più dissimile da quello in cui è cresciuta, poiché Carlo gestisce il traffico illegale di stupefacenti nel quartiere di via Paolo Sarpi insieme ai suoi fratelli per la famiglia Garofalo. A diciassette anni, Lea si rende conto di essere incinta e nel 1991 dà alla luce Denise, cresciuta nel condominio di via Montello, di proprietà dell’associazione “Cà Granda”, dove, tra una serie di altre attività, i Cosco si occupano anche dell’affitto illegale di abitazioni a immigrati clandestini.
Carlo viene arrestato durante l’”Operazione Storia Infinita” nel 1996. Durante una visita, Lea comunica al compagno in carcere la sua intenzione di andarsene di casa, provocando una violenta reazione da parte di Carlo, per la quale devono intervenire le autorità penitenziarie.
Lea e Denise si stabiliscono a Bergamo, dove sembrano prosperare. Tuttavia, nel 2002, la loro auto viene incendiata: l’evento è un monito da parte del fratello Floriano. Lea decide di tornare a Petilia Policastro; a luglio, nel frattempo, viene aggredita dallo stesso fratello, che disapprova quanto visto. Decide quindi di denunciare ai carabinieri, diventando così testimone di giustizia.
Nel giugno 2005, Floriano soccombe alle conseguenze delle azioni della sorella; nel frattempo, Carlo viene scarcerato e cerca immediatamente, senza successo, di rintracciare la residenza di Lea avvalendosi di un cugino dell’Arma dei Carabinieri. L’autorità giudiziaria stabilisce che, dopo la morte del fratello, Lea non è più in pericolo e, pertanto, decide di sottrarre Lea e Denise al programma protezione testimoni. Lea continua a lottare e contatta Don Luigi Ciotti, che aveva precedentemente incontrato in una conferenza di Libera, il quale le presenta l’avvocato Enza Rando.
La figlia e la madre entrano nel programma protezione testimoni e decidono di uscirne dopo quattro anni. Questo periodo è particolarmente turbolento per Lea, che sente di aver fatto grandi compromessi dopo sette anni senza raggiungere un risultato definitivo. Avendo speso tutti i suoi soldi, decide di tornare in Calabria; tuttavia, contatta prima la sorella per ottenere da Carlo garanzie per la sua sicurezza e quella di Denise. Carlo acconsente e, per permettere a Denise di non perdere altro tempo a scuola, le offre un appartamento a Campobasso. È qui che, il 5 maggio 2009, avviene un tentativo di rapimento: Carlo ingaggia un riparatore di lavatrici per riparare una macchina difettosa, che poi si scopre essere Massimo Sabotino. Sentendo una minaccia sinistra, Lea viene aggredita, ma la permanenza di Denise a casa quel giorno la salva da ogni pericolo. In seguito, attraverso intercettazioni telefoniche in carcere, si scopre che a Massimo Sabotino erano stati offerti venticinquemila euro per il rapimento e che un furgone carico di bombole di acido era già stato allestito.
Dopo alcuni mesi, Lea, che si trova a Firenze per testimoniare in un processo, chiama Carlo per chiedergli aiuto per mantenere l’affidamento della figlia. Lui le suggerisce di andare a Milano in modo che Denise possa anche contattare i parenti mentre discutono del futuro della ragazza. L’avvocato Enza Rando suggerisce a Lea di non raggiungere il suo compagno; tuttavia, lei sceglie di fidarsi della sua scelta. Nei primi due giorni, i torti passati sembrano essere stati ricuciti; tuttavia, la notte del 24 novembre 2009, alla vigilia della partenza delle due donne, Carlo porta Denise a trovare cugini e zii, spiegandole che questo gli darà l’opportunità di parlare con Lea in privato. In realtà, Carlo la inganna, convincendola ad alzarsi e a seguirlo in un appartamento di Corso Sempione, dove la picchia e infine la strangola. Ad attenderlo ci sono Vito Cosco e Carmine Venturino, incaricati di sbarazzarsi del corpo di Lea. Dopo essersi cambiato, Carlo torna a prendere Denise e, quando lei gli chiede di sua madre, mente e dice che la donna ha chiesto soldi e se n’è andata, abbandonandola. Denise non è convinta dal racconto del padre. Nel frattempo, le indagini proseguono e, nel 2010, Carlo Cosco e i suoi fratelli vengono arrestati. Carlo Cosco, Giuseppe Cosco, Vito Cosco, Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino vengono condannati all’ergastolo dopo la sentenza di primo grado; una svolta avviene nell’estate del 2012 quando Carmine Venturino racconta ai magistrati la verità sull’omicidio di Lea. Il 9 aprile 2013 si apre il giudizio di secondo grado, durante il quale Carlo Cosco confessa l’omicidio di Lea e incolpa il complice di aver salvato gli amici e di aver fatto sfoggio del suo “onore”. Ma la cosa più sconvolgente è ciò che Venturino sceglie di far sapere a Denise durante la sua deposizione, in cui decide di farle sapere di nuovo cosa è realmente accaduto. Venturino descrive lo stato di Lea dopo averlo picchiato e aver trascinato il suo cadavere nell’appartamento di Corso Sempione fino al campo di San Fruttuoso, “50 litri d’acido per cancellarla”, dove quasi tutti furono lasciati a secco, e infine bruciati per 3 giorni nella zona di San Fruttuoso, a Monza. Il processo vede infine quattro degli imputati condannati all’ergastolo e trentacinque alla reclusione per Venturino. Denise è rimasta da allora sotto protezione testimoni e in assoluto anonimato. Lea Garofalo per lo Stato non è vittima di mafia, poiché per “problemi burocratici” durante il suo processo non è stata applicata alcuna aggravante, come quella dell’associazione a delinquere mafiosa. Funerali civili e pubblici, il 19 ottobre 2013, alla presenza di centinaia di persone e di don Ciotti, del sindaco Pisapia e, seppur lontanamente, di Denise, finalmente in grado di dare alla madre una degna sepoltura. Lea è oggi sepolta nel Cimitero Monumentale di Milano.
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