Articolo di Annamaria

21 giugno 2025

La musica è un importante veicolo di espressione culturale, con la capacità intrinseca di riflettere e poi continuare a plasmare credenze, norme e comportamenti sociali all’interno di una determinata società. In Italia, in particolare in alcune regioni meridionali, uno stile musicale chiamato neomelodico e i più radicati “canti di malavita”, si sono sviluppati come un fenomeno complesso e polarizzante. Questi brani musicali, spesso condivisi attraverso piattaforme online ampiamente disponibili come YouTube, hanno attirato l’attenzione della Commissione Parlamentare Antimafia per le preoccupazioni relative al potenziale di glorificazione della criminalità e degli stili di vita criminali. Il presente rapporto mira a esaminare criticamente la natura di questo genere musicale, compresi i suoi messaggi espliciti e latenti, l’influenza che esercita sulla popolazione giovanile italiana e internazionale, nonché le iniziative di governo e organizzazioni della società civile per affrontare il problema. I “canti di malavita” rappresentano un patrimonio musicale ben radicato nel patrimonio popolare italiano, che spesso racconta storie di criminalità, onore e vendetta, sebbene non sempre con riferimenti espliciti alla cultura mafiosa. Tuttavia, i testi musicali di queste canzoni “strizzano sempre più l’occhio alla criminalità organizzata”, raccontando l’ascesa di giovani leader e legittimando così comportamenti illegali. Le piattaforme online, in particolare YouTube, sono diventate i principali veicoli di diffusione e popolarità, con molti artisti che hanno ottenuto milioni di visualizzazioni.

Questa ampia diffusione accresce l’impatto di tali storie su un pubblico internazionale. La migrazione dei “canti di malavita” su siti web come YouTube rappresenta uno sviluppo significativo nella diffusione e nell’impatto delle narrazioni sulla mafia. A differenza dei media tradizionali, YouTube è un mezzo non filtrato che consente a queste composizioni musicali di aggirare i tradizionali canali internet e le loro regole, per raggiungere direttamente un vasto pubblico, spesso giovane e internazionale. I “milioni di visualizzazioni” rappresentano non solo un indicatore di popolarità, ma anche una prova oggettiva di una diffusione capillare di contenuti che romanticizzano, esplicitamente o implicitamente, la vita criminale. Questa spinta informatica rappresenta un nuovo e pericoloso ostacolo agli sforzi antimafia. La Commissione Parlamentare Antimafia italiana ha riconosciuto la gravità di questo fenomeno culturale e ha cercato di monitorarlo avviando indagini e audizioni sul tema. L’impegno della Commissione Antimafia sposta la questione dall’ambito del dibattito culturale a una seria preoccupazione per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, creando così un delicato equilibrio tra la difesa della libertà di parola e la protezione delle popolazioni vulnerabili da influenze dannose.

“Malavita” identifica una miriade di temi ricorrenti che intrecciano la celebrazione della criminalità organizzata con distorsioni dei valori sociali. Nel raccontare e cantare storie, queste composizioni costruiscono un intero sistema di valori alternativi, in cui i valori mafiosi vengono celebrati e presentati come modelli di buona condotta. I testi di questo genere musicale abbondano di principi essenziali della cultura mafiosa, tra cui i concetti di omertà, vendetta, onore e vendetta sui traditori. La canzone di Pino Mauro “A Mafia” è un esempio per eccellenza di riferimenti espliciti a “omertà, rispetto, punizione per chi non rispetta il codice mafioso”, così come alla “lupara”, descritta come strumento per imporre l’obbedienza a questo codice. La canzone offre una “morale al contrario”, dove coloro che mancano di rispetto ai valori mafiosi sono descritti come “malvagi”. Anche “A Società” di Gino Ferrante descrive “uommene cu l’omertà”, affrontando la vita con incrollabile coraggio, affermando così l’immagine di una vita inespressa e coraggiosa comunità fraterna. “Onore, rispetto e dignità” è chiaramente definito come un’importante eredità trasmessa da un padre, solitamente un capo, alla prole. Un altro motivo ricorrente è la glorificazione della reclusione e della latitanza. “Compagno ‘e cella” di Pino Mauro è un esempio lampante di questa situazione. D’altra parte, “Nu latitante” di Tommy Riccio descrive il latitante non come un criminale nel suo senso più generale, ma piuttosto come una “vittima” di circostanze, affermando così la dimensione umana della sua vita solitaria e l’inevitabilità del suo destino, che si avvicina allo status di una fatalità ineluttabile. Il cantante neomelodico Niko Pandetta, con 750 mila follower iscritti al suo canale Youtube, scrive canzoni rivolte ai detenuti, compresi coloro colpiti dal regime carcerario del 41-bis, che viene solitamente applicato agli alti ranghi mafiosi. Il verso “Ricordati papà che non sesste galera e non sesste un dio che ci può separare” della canzone “Un nuovo re” (che è essenzialmente un omaggio a un boss incarcerato) esprime eloquentemente una lealtà incrollabile e un legame divino che sfida persino la punizione statale. In generale, un motivo ricorrente in tutte queste opere è il comune scetticismo e l’esplicito rifiuto della giustizia e delle autorità statali. Canzoni come “Lo stato condanna ma non capiscono nulla/ che dentro a questo cuore siamo brava gente” esprimono un sentimento comune che lo stato è alienato, indifferente o persino ostile. La raffigurazione dei latitanti come vittime di ingiustizie strutturali, piuttosto che come criminali, contribuisce a rafforzare ulteriormente questa retorica antistatale, presentando il criminale come un personaggio nobile in resistenza a uno stato oppressivo. L’idealizzazione dell’omertà, la romanticizzazione della vendetta e la svalutazione della giustizia statale e dei suoi complici, sono più che semplici rappresentazioni di una sottocultura. Le rappresentazioni musicali dei mafiosi non si limitano a celebrare gli ideali criminali, ma adorano e idolatrano attivamente la figura del boss. Esempi evidenti sono testi come “Comando io u poste è u mio/ Prima di me sta’ solo Dio”, che rappresentano il boss come quasi divino e come autorità suprema, rafforzando così un ordine gerarchico basato su dominio e invulnerabilità. Attraverso questa creazione, le canzoni trasmettono una storia avvincente, seppur distorta, di successo, rispetto e appartenenza, che risulta particolarmente seducente per coloro che si sentono emarginati o esclusi dalla società dominante. Il tema della criminalità ereditata e dei valori promulgati dal clan rappresenta un ulteriore elemento fondamentale per questo genere musicale. “Un nuovo re” è descritto come un “manifesto dei valori della cultura dei clan”. Affidati a un capo incarcerato, i suoi discendenti dichiarano apertamente la loro ammirazione e l’intenzione di continuare il suo lavoro.

L’affermazione “Onore, rispetto e dignità: queste sono le tre cose che mi hai insegnato, papà”, illustra la trasmissione generazionale dei valori mafiosi e la responsabilità insita in un retaggio criminale. Per quanto riguarda i tratti musicali tradizionalmente presenti nella musica della ‘ndrangheta, la canzone “Ndrangheta, Camorra e Mafia”, scritta da Otello Profazio, fa riferimento diretto a queste organizzazioni criminali. Inoltre, le composizioni “Canti di malavita calabrese”, Natino Rappocciolo, e “Ndrangheta canti e storie”, interpretate da numerosi artisti, contengono brani con riferimenti espliciti alla ‘ndrangheta. Titoli significativi in questo senso sono “A ndrangheta”, “Morti a cu sgarra”, “Onori e dignità”, “Picciottu e battiatu” e “U ndranghitista”. L’effetto di tale musica mafiosa è profondamente radicato nella “percezione e nel comportamento dei giovani ascoltatori”. Si va rafforzando una morale al contrario, in cui la fedeltà ai codici d’onore mafiosi vengono dipinti come elementi virtuosi, e coloro che violano tali codici (i pentiti) vengono derisi e svalutati, definiti “infami” e “uomini falliti”. I giovani, soprattutto quelli che provengono dalle zone urbane e periferiche più svantaggiate, vengono giustificati come reazioni a un “bisogno economico e disoccupazione“. Il fenomeno sopra menzionato delle famiglie dei boss di organizzazioni criminali incarcerati che fanno uso di tale musica, seguito dall’emulazione da parte dei giovani, suggerisce una preoccupante tendenza alla delinquenza intergenerazionale. La musica mafiosa è antisociale e illegale. L’effetto della musica mafiosa è particolarmente significativo in alcune regioni italiane, come Campania, Calabria e Sicilia, e in grandi aree urbane come Napoli, Catania, Palermo, Bari, Reggio Calabria, Roma e le relative aree metropolitane. Va notato che alcuni produttori musicali, in collaborazione con la mafia, si rivolgono specificatamente a un pubblico giovane con questo tipo di musica, sfruttandone il fascino emotivo. La Commissione Antimafia, andando oltre le tradizionali valutazioni della penetrazione economica, continua a impegnarsi nello studio delle manifestazioni culturali, inclusa la musica legata alla criminalità organizzata.

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