Articolo di Annamaria Niccoli

9 luglio 2025

La proposta avanzata dall’amministrazione israeliana concernente il «trasferimento forzato della popolazione palestinese” residente nella Striscia di Gaza ha destato gravi sospetti al livello internazionale, nel contesto di possibili crimini di guerra e di un vasto genocidio a carattere etnico. L’amministrazione israeliana, guidata da Benjamin Netanyahu, ha riproposto sollevando questioni rilevanti, in quanto comporta il trasferimento coattivo di più di 2,1 milioni di abitanti della Striscia di Gaza. Secondo quanto riferito, per parte di organi diplomatici e di analisi internazionali, il piano comporta il trasferimento della popolazione civile della regione meridionale della Striscia verso l’enclave meridionale, sotto il governo dell’autorità sionista, costituendo un evidente esempio di espansionismo su propositi di annessione dell’intera regione. Contemporaneamente, si è parlato di possibili redistribuzioni verso altri Stati di parte della popolazione palestinese, come: Grecia, Spagna, Egitto. Le ipotesi dei piani raccomandano inoltre che Gaza possa essere ridotta a una «Riviera Medio-Orientale », un’interpretazione che, secondo gran parte degli studi, si va costituendo un’azione di coercizione del popolo palestinese.

Di conseguenza, la struttura dell’Unione Europea ha reagito con cautela, classificando il piano come una minaccia alla stabilità autonoma regionale. Gli stati non allineati hanno commentato questo piano, definendolo “malsano e criminale”, e che dietro il progetto dello Stato di Israele si nasconde una vera “pulizia etnica” per ripristinare la propria supremazia.

Il Commissario dell’ONU per i Rifugiati Palestinesi ha sottolineato che il piano rischi: più di una generazione di palestinesi è stata costretta all’espulsione ad opera dei conflitti nel 1948, nel 1967 e delle più diverse operazioni condotte dall’Esercito Israeliano.

Il Primo Ministro israeliano ha evidenziato il voler stabilire un’occupazione militare dell’intera Striscia di Gaza, benché si mantenga aperta altresì l’ipotesi di brevi pause nelle ostilità per accelerare il recupero degli ostaggi sequestrati il 7 ottobre 2023 dai militanti di Hamas, ma non si parla affatto di piani di soccorso per il popolo palestinese.

Gli Stati Uniti, storicamente favorevoli, hanno espresso preoccupazione per l’escalation degli attacchi, ma hanno evitato di esprimere chiare condanne. Egitto e Giordania, contrari al piano previsto, sembrano incapaci di fermare l’attuale offensiva militare. Le Nazioni Unite, nel frattempo, hanno presentato risoluzioni non vincolanti volte a rallentare il trasferimento, ma il veto americano in seno al Consiglio di Sicurezza ne ostacola l’efficacia.

La Striscia di Gaza resta il centro di una crisi umanitaria in atto, con una popolazione civile sempre più inchiodata fra le rovine di un conflitto non risolto. Secondo nuove fonti, nel periodo dell’ultimo anno di scontri, almeno 57.523 persone di Palestina hanno perso la vita, contro gli 887 soldati dell’esercito di Israele morti.

I media umanitari e locali riferiscono che le condizioni di vita sono peggiorate a livelli insostenibili, caratterizzate da scorte insufficienti di cibo, acqua potabile e assistenza medica da parte delle agenzie, e da una carenza di cure ospedaliere, insieme al collasso delle infrastrutture di base. Inoltre, il Vaticano ha sottolineato che “non solo con le bombe si uccide una popolazione” e ha sollecitato un rinnovato impegno diplomatico.

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