
Articolo di Annamaria Niccoli
Art. del 14 ottobre 2023
La sera del 27 luglio 1993, Milano, in via Palestro, visse una delle sue notti più buie. La zona, cuore pulsante della cultura cittadina, fu squarciata da un’esplosione che non solo annientò il Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC), ma strappò alla vita cinque innocenti e ferì l’anima di un Paese intero. Fu un attentato dinamitardo firmato Cosa Nostra, parte di una strategia terroristica volta a piegare lo Stato italiano.
Verso le 23:00 del 27 luglio 1993, due vigili urbani in servizio a Milano notarono un veicolo sospetto in via Palestro: un’auto con i finestrini appannati da un fumo denso. Avvicinatisi per indagare, furono avvertiti da un gruppo di passanti della strana presenza del fumo. Pochi minuti dopo, giunsero i vigili del fuoco, che scoprirono nel cofano dell’auto un involucro voluminoso, apparentemente un ordigno. Temendo il peggio, iniziarono a evacuare la zona. Ma mentre le operazioni di sicurezza erano ancora in corso, l’autobomba esplose con una potenza devastante.
L’esplosione uccise sul colpo cinque persone: l’agente di polizia locale Alessandro Ferrari, i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, e Driss Moussafir, un cittadino marocchino che dormiva su una panchina dei giardini vicini. Altre dodici persone rimasero ferite, alcune in gravi condizioni. La deflagrazione distrusse il sistema di illuminazione pubblica, frantumò vetri entro un raggio di 200-300 metri e lesionò il muro esterno del Padiglione di Arte Contemporanea (PAC), situato proprio in via Palestro.
Il botto squarciò anche una condotta del gas sottostante alla strada, innescando un incendio divampante. I vigili del fuoco lottarono per ore per domare le fiamme, ma l’area era ormai trasformata in un caos: detriti, rottami e un alone di fumo nero che avvolgeva i resti del PAC, simbolo dell’architettura moderna milanese progettata da Ignazio Gardella.
Alle 4:30 del mattino seguente, una sacca di gas accumulatasi sotto il pavimento del PAC esplose, ampliando il disastro. La seconda deflagrazione distrusse opere d’arte custodite all’interno del padiglione e danneggiò gravemente la vicina Villa Reale, sede della Galleria d’Arte Moderna, che subì lesioni strutturali e perdite artistiche. La scena si trasformò in un inferno: fiamme, macerie e un bilancio che, al termine di quelle ore drammatiche, contava cinque morti, dozzine di feriti e un cuore culturale della città ridotto a un cumulo di rovine.
Di fronte a tale barbarie, Milano e l’Italia diedero una risposta decisa. L’allora assessore alla Cultura, Philippe Daverio, si fece promotore di una scelta forte e simbolica: ricostruire il PAC identico all’originale. Un gesto che andava oltre la semplice riparazione, diventando un manifesto di resistenza culturale contro il terrore.
Il restauro, affidato a Jacopo Gardella, figlio dell’architetto che aveva concepito il PAC, fu completato nel 1996, a un costo di 5 miliardi di lire. La fedeltà al progetto originale non fu casuale, ma una deliberata affermazione della volontà di preservare la memoria collettiva e di difendere l’identità culturale della città e del Paese. Il PAC risorto dalle ceneri divenne un potente simbolo della resilienza di Milano, un monito che la bellezza e la cultura non si piegano alla violenza.
Ma l’escalation mafiosa di quella notte non fu confinata a Milano. Quasi in contemporanea, due autobombe esplosero a Roma: una nei pressi della storica chiesa di San Giorgio al Velabro e l’altra davanti alla maestosa Basilica di San Giovanni in Laterano. Questi attentati, pur non causando vittime mortali, provocarono feriti e danni gravissimi a beni culturali di valore inestimabile, simbolo della storia e dell’identità italiana.
L’intera sequenza di attacchi tra il 1992 e il 1993, che contò un bilancio complessivo di dieci morti e ferite profonde al patrimonio culturale, rivelò la strategia eversiva di Cosa Nostra. Dopo le dure condanne del Maxiprocesso, la mafia intensificò gli attentati per destabilizzare lo Stato e imporre una “trattativa” mirata a ottenere modifiche legislative, in particolare riguardo ai collaboratori di giustizia.
Le indagini della strage sono è state complesse e di un lungo iter giudiziario che ha portato all’individuazione e alla condanna dei suoi responsabili, sia a livello esecutivo che di ideazione.
“Esecutori Materiali”
Le sentenze definitive hanno riconosciuto la colpevolezza di numerosi affiliati a Cosa Nostra. Tra i principali condannati per aver avuto ruoli diretti nell’organizzazione, nel reperimento dell’esplosivo, nella preparazione e nell’attivazione dell’autobomba, figurano:
Giovanni Formoso e Tommaso Formoso, Pietro Carra, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano: Condannati all’ergastolo.
Gaspare Spatuzza: Diventato collaboratore di giustizia, le sue dichiarazioni sono state ruciali per le indagini e per l’accertamento delle responsabilità. Le sue condanne sono state ridotte per la collaborazione.
Luigi Giacalone, Antonino Mangano, Salvatore Benigno, Antonio Scarano, Salvatore Grigoli: condannati.
Cosimo D’Amato: Condannato, in quanto fornitore del tritolo utilizzato non solo a Milano ma anche in altre stragi di quel periodo.
Le condanne a carico degli esecutori materiali sono state emesse in vari gradi di giudizio, con diverse sentenze definitive che hanno confermato gli ergastoli per i principali responsabili.
“Mandanti”
I principali mandanti della strategia stragista di Cosa Nostra, ovvero i membri della cupola i vertici, sono stati individuati e condannati con sentenze definitive all’ergastolo nei processi per le stragi del ’92-’93 (che includono Capaci, via D’Amelio, via dei Georgofili, via Palestro, Roma. Tra essi figurano:
– Salvatore Riina: condannato all’ergastolo per tutte le stragi del periodo.
– Bernardo Provenzano: Successore di Riina, condannato all’ergastolo.
– Filippo Graviano: Condannato all’ergastolo.
– Giuseppe Graviano: Condannato all’ergastolo.
– Matteo Messina Denaro: Condannato all’ergastolo.
– Leoluca Bagarella: Condannato all’ergastolo.
– Giovanni Brusca: Divenuto collaboratore di giustizia, ha ricevuto sconti di pena per la sua collaborazione.
– Giuseppe Ferro: Condannato all’ergastolo.
– Francesco Tagliavia: Condannato all’ergastolo.
Le sentenze hanno evidenziato la responsabilità unitaria della cupola mafiosa nella decisione e nell’organizzazione di questa serie di attentati terroristici. Le indagini e i processi sulle stragi del 1993 hanno tentato di far luce anche su possibili “mandanti esterni” a Cosa Nostra o su eventuali “trattative” tra Stato e mafia, ma queste piste, sebbene abbiano portato a processi complessi, non hanno prodotto condanne definitive, oltre i vertici mafiosi già citati.
Note:
1.https://www.teche.rai.it/2023/07/le-bombe-a-milano-e-a-roma-il-27-28-luglio-1993/·(2023-07-27)
2.https://www.impronteneltempo.org/1993—via-palestro-milano.html
6.https://www.vigilfuoco.it/media/notizie/trentanni-fa-la-strage-di-palestro-milano
7.https://en.silvanaeditoriale.it/libro/9788836626984
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