
Articolo di Annamaria
16 agosto 2025
Un’analisi approfondita, basata su report di organizzazioni indipendenti come “Euro-Med”, “Human Rights”, “Monitor” e “SOMO”, insieme a indagini del quotidiano britannico “The Guardian”, solleva un inquietante interrogativo sul ruolo dell’Europa nella perpetuazione di gravi violazioni dei diritti umani. L’attenzione si concentra sull’uso di cani militari da parte dell’“unità Oketz” delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), impiegati in operazioni che, secondo le indagini, vanno ben oltre la sicurezza e la difesa, configurandosi come veri e propri atti di violenza sistematica contro i civili palestinesi.
I dati raccolti evidenziano una prassi allarmante: il 99% dei circa 70 cani militari acquistati annualmente da Israele proviene da aziende europee, con Paesi Bassi e Germania in testa. Il paradosso legale emerge chiaramente dal modo in cui queste esportazioni sono gestite. Spesso, per aggirare i severi controlli sul commercio di armi, questi animali vengono classificati come semplici “animali domestici” o “prodotti agricoli”. Questa lacuna normativa è resa possibile dalla mancanza di un quadro giuridico specifico che regolamenti l’esportazione di animali destinati a usi militari, consentendo ai paesi fornitori di eludere gli obblighi di due diligence previsti dalla Politica Comune di Sicurezza e Difesa dell’UE.
Secondo le indagini, l’uso di questi animali è tutt’altro che difensivo. Sono stati documentati casi di attacchi sistematici a civili, compresi bambini, anziani e detenuti. Le testimonianze raccolte da “Euro-Med” e “SOMO” descrivono scenari di tortura, violenza sessuale e omicidio in cui i cani sono usati come strumenti per terrorizzare e infliggere sofferenze. Esempi come l’aggressione a Tahrir Husni, una donna incinta a Khan Younis, o l’attacco a Yousef Fazzah nel suo appartamento.
Il Diritto Internazionale Umanitario (DIU) contribuisce a questo problema classificando gli animali come “oggetti”, un approccio che ignora la loro natura di esseri senzienti e facilita la loro strumentalizzazione come “armi”. Di conseguenza, non esiste una chiara responsabilità giuridica per l’uso di animali in atti di violenza deliberata contro i civili. Tuttavia, la questione va ben oltre il DIU.
L’uso di cani per violentare detenuti, come confermato anche dall’Ufficio ONU per i Diritti Umani, rientra nella definizione di tortura e crimini sessuali, categorie severamente proibite dalla IV° Convenzione di Ginevra e dal Trattato sul Commercio delle Armi (ATT). Questa prassi, unita alla documentata profanazione di cadaveri e alla diffusione di video di violenza sessuale su detenuti, rappresenta una grave de umanizzazione delle vittime, amplificando l’orrore delle violazioni.
In questo contesto, la responsabilità ricade anche sulle aziende fornitrici. Il Principio 28 dei Principi Guida ONU su Imprese e Diritti Umani stabilisce l’obbligo per le aziende di prevenire abusi legati alle loro attività. La fornitura di cani a un esercito con una storia documentata di abusi potrebbe configurare una complicità in crimini di guerra, come definito dall’Articolo 8 dello Statuto di Roma. Aziende come la olandese “Four Winds K9”, con rapporti pluriennali con le IDF, continuano a esportare cani senza un’adeguata verifica del loro utilizzo finale, violando il Principio 13 dei Principi Guida ONU che richiede il monitoraggio post-vendita.
La strumentalizzazione dei cani non causa sofferenza solo alle vittime umane. Addestrati per attacchi aggressivi, questi animali subiscono un trauma psicologico e fisico che spesso li porta alla morte. Le IDF hanno documentato l’uccisione di 42 esemplari dal 7 ottobre 2023, un dato che solleva interrogativi sull’etica della guerra e sul rispetto del benessere animale, già riconosciuto nell’Accordo di Lisbona dell’UE. La trasformazione di un essere vivente in uno strumento di terrore è una questione che sfida le fondamenta etiche del conflitto moderno.
Per affrontare questa crisi, sono necessarie azioni concrete. La prima è una riclassificazione urgente dei cani militari come “beni a duplice uso” all’interno del Regolamento UE 2021/821, sottoponendoli così a licenze di esportazione e a rigorose valutazioni dei rischi per i diritti umani. Inoltre, è fondamentale che l’UE introduca obblighi legali per le aziende, richiedendo la conduzione di una dovuta diligenza sul destino finale dei cani, con sanzioni per chi non si conforma.
In linea con la “risoluzione ONU 78/274″ del 2024, l’UE dovrebbe sospendere le esportazioni verso Israele finché non saranno istituiti meccanismi di verifica affidabili. Inoltre, l’apertura di un’inchiesta da parte della Corte Penale Internazionale potrebbe accertare la complicità europea in questi crimini. L’esportazione di cani militari dall’Europa non è un semplice scambio commerciale, ma un sintomo di una complicità strutturale che mina la credibilità dell’UE come difensore dei diritti umani. Come affermato nel rapporto SOMO, “Finché i cani saranno considerati ‘oggetti’, le vittime resteranno invisibili”. La priorità, quindi, non può che essere quella di umanizzare il diritto internazionale, riconoscendo la dignità di ogni vita coinvolta, umana e non umana.
NOTE:
https://euromedmonitor.org/en/videos/256/Trained-Army-Dogs
https://www.btselem.org/press_releases/20150302_dog_set_on_youth_as_part_of_official_policy
https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/E-10-2025-002814_EN.html
https://www.chinadailyhk.com/hk/article/589477
https://www.bureaubiosecurity.nl/en/node/721
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:02021R0821-20231216
https://www.eumonitor.eu/9353000/1/j4nvhdfcs8bljza_j9vvik7m1c3gyxp/vmkhzdvqh4uu
https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2021/821/oj/eng
https://www.eumonitor.eu/9353000/1/j4nvk6yhcbpeywk_j9vvik7m1c3gyxp/vljk98mqn3y0
Lascia un commento